Equipaggiamento del Balestriere Genovese (1363)
di More Ianuensis
Individuare con precisione l’equipaggiamento dei balestrieri genovesi è particolarmente complicato dal fatto che spesso la nomea di eccellenti balestrieri faceva sì che un bravo balestriere del nord Italia venisse definito “Genovese”. Una conferma di tale usanza viene descritta da David Nicolle in “Failure of an Elite – The Genoeses at Crecy” dove si legge: “I Balestrieri Italiani e Provenzali avevano servito negli eserciti francesi dai primi anni del XIV secolo, e quelli chiamati Genovesi in servizio francese al momento della battaglia di Crécy venivano da molti luoghi, oltre a Genova stessa”.
Questo crea un problema di fondo nella ricostruzione, cioè riferirsi a immagini di Balestrieri Genovesi che risalgono a Crecy o altri eventi fuori d’Italia, non fornisce l’equipaggiamento effettivo vigente a Genova ma quello più in voga tra i balestrieri Italiani e Provenzali.
La ricerca mirata alle fonti più vicine a Genova incomincia con le Cronache del Caffaro. Nelle pagine dell’Opera (Cronache del Caffaro volume II 1174-1224 pag 162) si legge:”balistariis (^) decem [cum ar]mis neccessariis, et balistis (s) de cornu” quindi abbiamo la certezza che già nel 1220 i Balestrieri Genovesi avevano in dotazione la balestra con arco di corno. La foggia di tale balestra ancora sfugge, una citazione degli Osprey parla di balestre “Genoese Manner”. Probabilmente vi erano alcuni dettagli costruttivi differenti dalle altre balestre. Ma questo rimanda ad un’altra trattazione.
La balestra in corno aveva come sistema di caricamento il Crocco, citato anche in tutti gli statuti comunali quando si parla di Balestrieri. La sua presenza a Genova è confermata nelle Leges Genuenses del 1363 dove si legge che i balestrieri dovevano sempre cingere l’elmo, il crocco e avere la balestra al seguito. Il crocco è raffigurato in numerose fogge. Gancio singolo di varie lunghezze attaccato direttamente alla cintura di cuoio o agganciato ad essa tramite corda o cuoio.
Le raffigurazioni delle armature dei balestrieri sono molteplici, da corazze complete a brigantine ma, come prima descritto, non sono direttamente attribuibili a Genova. La ricerca bibliografica ci ha condotto a “Historiae Partriae Monumenta Tomus XVIII Leges Genuenses” conservato alla Biblioteca Berio di Genova, alla colonna 272 delle leggi genovesi rogate dal doge Gabriele Adorno nel 1363, si legge un elenco per l’acquisto di equipaggiamento per i balestrieri del Doge: “Coyratie viginti, colaria viginti, cervelerie viginti, balista viginti, crochos viginti, veretonorum capsias decem, fanaria viginti quatuor…”-trad. “venti Corazze, venti Collari, venti Cervelliere, venti Balestre, venti Crocchi, dieci casse di Verrettoni, ventiquattro Fanali”
Stabilito quindi l’equipaggiamento base occorre capire esattamente a quali oggetti specifici si riferiscono i nomi e relativa foggia.
Nel trattato Genovese Homiliae et Orationes (Homiliae Et Orationes 1301-1400 Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits) si trovano miniature in cui sono raffigurati armati Genovesi con elmo semplice, quasi semisferico con uno scalino netto all’altezza delle orecchie. A tale elmo è fissata la ventaglia in cotta di maglia.
Una ulteriore fonte si è rivelata il sarcofago di Pagano Doria (fine XIII – 1373 circa) conservato al Museo Sant’Agostino di Genova.
Pagano Doria ha un elmo molto semplice, simile a quelli visti sull’ Homiliae et Orationes ma sembra indossarlo sopra ad un camaglio (disegno a fianco realizzato al museo – foto non consentite).
A completare l’armatura in Homiliae et Orationes gli armati genovesi hanno una cotta d’arme, probabilmente indossata sopra alla corazza che, da come calza ricalcando la figura degli armati, sembra essere una cotta di maglia. Sul sarcofago di Pagano Doria da sotto la cotta d’arme emerge una corazza a scaglie. E’ quindi plausibile che un fante avesse una normale cotta di maglia.
Non abbiamo ancora idea precisa di quale foggia avesse il Turcasso. Unica raffigurazione trovata fino ad ora, sicuramente attribuibile a Genova, è uno schizzo tracciato dall’amanuense di un cartulare genovese del XIV secolo (Amministrazione res publica Genovese tra 1300-1400, Società Ligure di Storia Patria – biblioteca digitale – 2012, Pag 177) Il balestriere raffigurato è in farsetto ha solo l’elmo, ha il crocco corto e un turcasso tubolare probabilmente di cuoio. L’equipaggiamento è ben diverso dalle raffigurazioni e dalle descrizioni delle leges genuenses. Non abbiamo idea se corrisponde ad un balestriere “a riposo” o se è una speculazione del disegnatore.
Ricostruzione, prove sul campo e considerazioni sugli equipaggiamenti sopra descritti
Abbiamo quindi ricostruito il Balestriere Genovese e collaudato l’equipaggiamento.
Il crocco, in molteplici fogge, è attestato come sistema di caricamento per il periodo che riguarda la balestra a staffa, e si trova su affreschi dal XII alla metà del XV secolo; questo conferma quello che insegna l’esperienza rievocativa come fanteria sul campo: la capra è impegnativa da gestire sul campo di battaglia.
La capra è forse più adatta in situazioni “statiche” come la difesa delle mura o di una postazione fissa. In scontri che richiedono continui spostamenti non si riesce ad agganciare alla cintura con la certezza di averla ancora al fianco al termine di un movimento rapido; non la si può posare a terra dopo il caricamento mentre si tira perché ci si potrebbe spostare dalla posizione e la si dovrebbe recuperare; è un sistema di caricamento più lento del crocco, spesso, nella foga di caricare in velocità, si aggancia la corda maestra con solo uno dei due ganci.
Il crocco scelto da noi nella ricostruzione del Balestriere Genovese è quello a gancio lungo collegato alla cintura da un anello di cuoio, modello citato dagli Osprey (Osprey – Warrior 025 – Italian Militiaman 1260-1392); la scelta è stata fatta a seguito di prove sul campo in cui si è potuto constatare che questo modello permette una maggiore manovrabilità e quindi un caricamento più rapido della balestra.
Le prove sul campo hanno portato ad adottare una tecnica di caricamento che si vede sullo sfondo della Battaglia di San Romano e in un san Sebastiano del Pollaiuolo. Entrambe i piedi a terra, piede destro nella staffa piede sinistro oltre l’arco della balestra (che avrà la manetta rivolta verso l’esterno), si allargano le gambe flettendo le ginocchia, con la mano destra si impugna il crocco e lo si aggancia alla corda maestra, si raddrizzano le gambe con uno scatto deciso… la corda maestra supera la noce, si scende quel tanto che basta a sganciare il crocco e la balestra è pronta. Con questa tecnica si possono raggiungere velocità di tiro ragguardevoli. Caricare, incoccare mirare, tirare, riposizionare la noce e iniziare l’operazione di ricarica in una decina di secondi.
La Balestra utilizzata è stata scelta con la foggia più semplice e lineare possibile come raffigurata su gran parte dell’iconografia italiana. Il modello in particolare riprende un reperto museale dei primissimi anni del 1400 che racchiude tutti gli elementi “minimalisti” delle balestre dell’iconografia dei secoli precedenti: Arco composito, noce in legno e teniere rettilineo.
L’elmo è quanto di più simile alle miniature potessimo trovare ed indossato sul camaglio il risultato è paragonabile all’iconografia di riferimento
La Cotta di Maglia, grazie alla sua semplicità, offre migliore libertà di movimento, maggiore rapidità di caricamento e precisione di tiro rispetto ad altri modelli di armature collaudate. Altre armature (piastre, brigantine con o senza gambe armate) sono risultate ingombranti per il caricamento della balestra spesso intralciando l’uso del crocco o la corsa della corda maestra stessa. Inoltre il peso complessivo superiore rallenta il balestriere rendendolo potenzialmente inutile sul campo. I guanti d’arme, pur apparendo nell’iconografia poco meno che nella metà dei casi, sono sconsigliabili. Le prove effettuate hanno dimostrato che i guanti intralciano l’attività di ricarica e puntamento della balestra poiché aboliscono la sensibilità tattile e l’agilità di dita necessarie ad incoccare la quadrella.
Una doverosa precisazione riguarda lo scudo Palvese. Alcuni affermano che i balestrieri ne portassero uno legato alla schiena; tale convinzione è stata portata sul grande schermo in film come Timeline. Iconografia e documenti storici confermano che i Balestrieri NON ne erano provvisti. Il balestriere operava sulle navi, sulle mura e, se in campo aperto, era schierato dietro alle unità di Pavesari e Lanceri. Inoltre In questo modo si otteneva un muro irto di punte che era in grado di colpire anche a distanza. Un esempio importante è citato da Aldo Settia nel suo libro “De Re Militari”: Balestrieri Genovesi e Pisani a servizio di Riccardo d’Inghilterra nel 1192 a Giaffa si disposero su due file dietro una “siepe di scudi e di lance”, col tiro continuativo dato dall’alternanza delle due file vennero vanificate tutte le cariche dei cavalieri turchi.
Le prove fatte sul campo parlano chiaro. Per ricaricare la balestra al riparo dallo scudo legato alla schiena occorre girarsi con le spalle al bersaglio che ha modo di spostarsi, di lanciare una qualsiasi arma da getto, prepararsi a colpire il balestriere mentre si gira a fine caricamento cercando il bersaglio non più al posto precedente.
Inoltre gli ingombri e la rigidità sono tali da rendere poco efficiente tale configurazione.
BIBLIOGAFRIA
- Amministrazione res publica Genovese tra 1300-1400 Società Ligure di Storia Patria – biblioteca digitale – 2012
- Caffaro cronache
- David Nicolle – Crecy 1346 Triumph of the longbow – Osprey – Campaign 071
- Historiae Partriae Monumenta Tomus XVIII Leges Genuenses
- Homiliae Et Orationes 1301-1400 Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits
- Nilo Calvini, Balestre e Balestrieri Medievali in Liguria, Edizioni Casabianca
- Osprey – Warrior 025 – Italian Militiaman 1260-1392
- Settia A. Aldo – De Re Militari Pratica e teoria nella guerra medievale, 335 p, Viella editore